di Francesca Marzolini
C’è stato un lungo tempo – dal XI al XIV secolo – in cui l’Appennino fu abitato, attraversato e segnato dalla presenza di monaci itineranti, anche detti chierici-viandanti e romiti-mendicanti votati alla povertà e alla predicazione nelle comunità rurali. Si annidavano sempre fuori dai centri maggiori e ufficiali della Chiesa, escludendo dogmi e sacramenti, e proponendo il ritorno al Vangelo nei suoi valori umani costitutivi.
Pensiamo a San Francesco, a San Benedetto e ai monaci eremiti della Maiella e pensiamo alla crisi di valori che la Chiesa e la società medioevale attraversava allora. Fulcri di queste vite furono la mendicità, l’itineranza e la scelta della povertà e con essa quella vicinanza alle comunità rurali nelle quali cui i santi pellegrini operavano con miracoli e racconti che toccavano gli interessi, le necessità e conflittualità tipiche dei borghi di quel periodo storico. Moltiplicazioni di grano, di pane, affioramenti miracolosi di acque, sanamento di conflitti e soprattutto potenza taumaturgica. All’interno di questo milieu storico e spirituale, si fissa la figura di San Pietro l’Eremita, XI-XII secolo, che lega attraverso la sua nascita e morte, due località, Rocca di Botte e Trevi nel Lazio, appartenenti ad economie, strategie e logiche territoriale diverse: una nello Stato Pontificio, l’altra nel Regno delle Due Sicilie.
Il suo pellegrinare tocca territori più ampi delle sue origini, abbraccia diversi borghi (valle dell’Aniene), segnati nella memoria dalle reliquie del suo corpo, spartito in seguito nel tempo.
La logica e la ricchezza che sempre sottende a tali figure (ormai studiate abbondantemente) è di tipo territoriale, di scambio, di alleanze e di creazione di rapporti sacri atti a rinforzare la condivisione fra comunità, inserendole in un circuito di mutuo aiuto più ampio di quello locale.
Rocca di Botte e Trevi nel Lazio hanno sancito tale legame addirittura con un comparatico rituale (testimoniato dal 1600), una discendenza spirituale comune da un unico antenato – San Pietro appunto – che giustifica così l’indissolubilità di un rapporto utile per l’epoca, forte nel tempo, sopravvissuto fino ad oggi.
La storia del santo e del suo culto è ancora più ricca di elementi: cruciale è il pellegrinaggio perpetrato nei secoli, che altro non era se non un modo per legare la memoria delle gesta del santo ad un territorio. Ripercorrere durante la festa patronale le gesta del santo, e i luoghi topici dei suoi miracoli e del suo pellegrinare – mobilitando due interi paesi lungo un tragitto da precorrere con tutti i mezzi (a piedi, a cavallo, con i muli e con carri) – serviva a ribadire la pregnanza di un legame sociale molto più ampio.
Infatti il Cammino di San Pietro l’Eremita toccava nei secoli, come testimoniano tradizioni scritte e orali, un circuito più ampio di paesi, a confine delle due territorialità (Lazio e Abruzzo oggi), con una fiera di bestiame ed agricola che accompagnava l’evento.
Come a dire che l’economia povera agro-pastorale delle comunità interessate beneficiava in tal senso di scambi e aiuti reciproci.
Durante i tre giorni del pellegrinaggio le comunità intessevano legami e scambi economici relazionali e di assistenza.
A tutto questo si aggiungeva poi il rituale festivo vero e proprio, nucleo centrale delle celebrazioni.
I rituali di festeggiamento dei due paesi prevedono anche simboli complessi mantenuti intatti nei dieci secoli ormai trascorsi. Tra questi spiccano due di particolare rilievo: il “comparatico in San Pietro” e la “Panarda”. Nel primo caso si tratta di riconoscere una parentela sacra e indissolubile tra gli abitanti dei due borghi che si percepiscono figli e discendenti di un unico capostipite – San Pietro l’Eremita. Tale legame è sottoposto a tabù endogamici – divieto di matrimonio come si fosse parenti di sangue – obbligo di aiuto reciproco e rispetto sacro del compare. Tutte qualità sopravvissute nel tempo. Altre forme di parentela spirituale popolare sono testimoniate da una letteratura di studi storico-antropologici in diverse parti del mondo, tra cui Sud America e sud del Mediterraneo. Molte di queste sono oggi in disuso, quella di San Pietro l’Eremita rimane una delle poche sopravvissute in Italia.
Per quanto riguarda invece la “Panarda” si intende anche qui un pranzo rituale collettivo di antiche origini italiche,in uso per secoli (famose sono quelle della Marsica) in cui attraverso un abbondante offerta di cibo tra comunità si ribadivano legami. Questi pranzi speciali erano regolati da norme specifiche e rituali in cui si tramandavano conoscenze artigianali e simboli arcaici importantissimi. Per esempio nel caso della festa di San Pietro l’Eremita elemento centrale dell’offerta alimentare era il “pane di San Pietro”, lavorato, cotto e consumato all’interno di un setting che gli studiosi riconducono al rito eucaristico.